E' morta all'ospedale di Rimini, dove era stata ricoverata per l'aggravarsi di una malattia, Gigliola Ebe Giorgini, "mamma Ebe", per decenni protagonista delle cronache giudiziarie anche vercellesi.
Era nata nel 1933 a Pian del Voglio, sull'Appennino tosco-emiliano e, a partire dagli anni '80, si era resa protagonista di una serie di vicende che univano pseudo-misticismo e affari, creando una sua congregazione - disconosciuta dal Vaticano - che, oltre a promettere guarigioni miracolose attraverso infusi e preghiere, prendeva in gestione strutture per anziani e disabili, intascando lauti profitti con rette e convenzioni. Tra queste strutture, negli anni '80, c'era la Consolata di Borgo d'Ale: quando i carabinieri, nell'aprile del 1984, entrarono nella struttura, scoperchiarono un vero e proprio impero economico che le successive sentenze dei processi ritennero fondato sulla truffa, il falso ideologico, l'esercizio abusivo della professione sanitaria, ma anche il sequestro di persona e i maltrattamenti.
Lei, "Mamma Ebe", attraverso il suo carisma di santona (ma nei processi venne fuori anche l'uso indiscriminato di psicofarmaci) aveva convinto seminaristi e suore di aver preso i voti e di doverle obbedienza: gli adepti lavoravano nelle strutture, pregavano e praticavano povertà e castità, mentre la santona non si negava alcun lusso.
La vicenda della Consolata e di Mamma Ebe portò il vercellese sulle cronache nazionali per diverso tempo, poiché fu proprio da quell'inchiesta che si arrivò alla Congregazione scoprendo che, in realtà, non era riconosciuta dalla Chiesa e fu proprio la vicenda vercellese che portò la donna a ricevere la sua prima condanna.
Negli anni '90, Ebe Giorgini uscì dai radar della cronaca, ma la carriera di "santona" non venne mai messa da parte: nei primi anni 2000, in Toscana, la donna venne nuovamente arrestata per una vicenda molto simile a quella di Borgo d'Ale; nel 2010 finì a processo per truffa aggravata ed esercizio abusivo della professione medica: una causa andò in prescrizione e ma l'altro processo si chiuse con una condanna a otto anni e mezzo di carcere.
Nel 2017 altra condanna a quattro anni di carcere per associazione a delinquere finalizzata alla truffa ed esercizio abusivo della professione medica: questa volta i reati riguardavano una struttura assistenziale del riminese dove la donna, nel frattempo, si era trasferita a vivere.