Vercelli rende omaggio alla memoria di Ezio Ballarè intitolando all'indimenticato “dottore in lambretta” in giardini di piazza D'Angennes. Un luogo simbolico, posto a pochi metri da quello che è stato lo studio medico in cui un numero spropositato di assistiti riceveva diagnosi e terapie ma soprattutto consigli, parole di conforto, battute scherzose.
A distanza di 13 anni dalla morte di Ballarè, in un orario e in un momento decisamente particolare dal punto di vista sanitario, un folto gruppo di vercellesi ha voluto essere presenti alla cerimonia di scoprimento della targa che riporta “In memoria del medico in Vespa che amava i poveri”. Ancora di più erano stati quelli che lo avevano ricordato con aneddoti, foto e testimonianze personali, qualche anno fa quando un post pubblicato nel gruppo Facebook “Sei di Vercelli se...” aveva ricordato la figura di questo straordinario professionista. Proprio da quel post era nata l'idea di chiedere l'intitolazione dei giardini.
A raccontarlo uno degli amministratori della pagina, Andrea Barone, che ha ricordato il Ballarè «che si divertiva a giocare a carte con gli amici nel suo capanno, che andava a caccia e amava i cani, che c'era sempre per i pazienti e che aveva una straordinaria capacità diagnostica».
Un momento commovente per i familiari e una bella occasione per gli ex pazienti di ricordare una persona che ha lasciato un segno indelebile, come ha ricordato il sindaco Andrea Corsaro: «Rendiamo omaggio alla memoria di un professionista che ha lavorato con abnegazione, senza guardare agli orari e mettendo nel proprio lavoro quel di più che solo la passione sa spiegare – ha detto il primo cittadino -. La frase che lo ricorda è quella del motto del beato Amedeo che ben si addice a descrivere l'opera di Ballarè».
Agli amici riuniti sotto la targa, Giulio Pretti, priore della vicina Confraternita di Sant'Antonio Abate, ha ricordato un altro merito, forse meno noto, di Ballarè: «Fu lui a convincere tutte le confraternite a tornare alla tradizione di portare a spalle le Macchine durante la processione del Venerdì Santo. Per tanti anni, infatti, i gruppi statuari erano stati caricati su furgoni scoperti e portati lungo le vie della città. Lui convinse le confraternite a tornare alla tradizione e coinvolse i Vigili del Fuoco per dare un aiuto a chi non aveva portatori. Se oggi le confraternite sono tornate a vivere lo dobbiamo anche alla sua tenacia» ha concluso Pretti.