Un momento di cultura gastronomica. Così la Cena Ecumenica la manifestazione più importante dell’Accademia Italiana della Cucina che anche la delegazione di Vercelli ha celebrato giovedì scorso, 17 ottobre, all’Osteria del Vecchio Asilo di Tricerro declinando il tema dell’anno “I fagioli, i ceci e gli altri legumi”.
«I 7500 accademici delle delegazioni di tutto il mondo si riuniscono nello stesso giorno in un desco ideale per celebrare il tema dell’anno – spiega la delegata vercellese Paola Bernascone Cappi -. L’Accademia italiana della cucina è stata riconosciuta nel 2003 dal Ministro per le Attività e i Beni culturali come istituzione culturale della Repubblica italiana».
Simposiarca della serata è stato l’accademico Luca Brusotto fresco di nomina a direttore del Centro studi Piemonte, che nella sua presentazione è partito dall’immagine scelta per impreziosire il menù, in edizione speciale, stampato per l’occasione. «Un dipinto della seconda metà del 500, dal titolo “I Mangiatori di fagioli” di Vincenzo Campi – spiega -. Quello che vorrei catturasse la vostra attenzione è che i legumi contenuti nella scodella, che l’uomo sostiene, siano fagioli dell’occhio, una varietà che ritroviamo in quelle opere che sono stata dipinte fino al 1500 compreso, perché i fagioli, che oggi consumiamo, a partire dal comunissimo borlotto ma anche gli autoctoni come il Saluggia o il Villata, derivano dalla varietà Faseolus che arrivò dal Perù nel 1529 ma che solo dal secolo successivo iniziò a imporsi in tavola per maggiore capacità di adattamento e resa».
Proprio il fagiolo dell’occhio è stato utilizzato dallo chef Fabio Villa per cucinare una panissa arcaica: “«A dire il vero – continua Luca Brusotto - fino a quando si usa il fagiolo dall’occhio, ovvero fino almeno a tutto il '500, la panissa si faceva col panico, che è un altro cereale, e non con il riso ed era una minestra, poiché non solo non si utilizzava il riso, ma neppure la risottatura, che è molto più recente, addirittura ottocentesca. Quindi la panissa di riso nasce con quel fagiolo americano, che poi diventa Saluggia o Villata e non con il fagiolo dell’occhio».
Quel fagiolo americano, che poi si trasforma anche in fagiolo di Saluggia, è stato invece protagonista del secondo portato in tavola: “la Tofeja o Faseuj grass”. «La tofeja, tipica del canavese, da noi è la pignatta, dove il fagiolo di Saluggia trova la sua massima esaltazione – spiega Brusotto -. Assieme ai fagioli cuoce il maiale: i cotechini e soprattutto quella cotenna arrotolata e legata, dopo essere stata riempita di spezie, pepe, noce moscata, aglio e sale, che prende il nome di previj, una preparazione che è tipica proprio del territorio del vercellese che in qualche modo alla confluenza tra Po e Dora Baltea guarda a nord al Canavese, alla tofeja».
Per antipasto la cisrà: «Un’antichissima zuppa di ceci piemontese, tipica non tanto del nostro territorio quanto delle langhe. Al centro studi, che sviscera il tema dell’anno, eravamo partiti tutti con un pregiudizio: in Piemonte, ci eravamo detti, si sono da sempre mangiati esclusivamente fagioli, mentre gli altri legumi sono importazioni delle culture gastronomiche meridionali, giunte in Piemonte nel secondo dopoguerra con l’immigrazione dal Sud – conclude Brusotto -. Poi invece abbiamo studiato, ci siamo documentati ed ecco la sorpresa: nei tempi antichi anche in Piemonte producevamo e consumavamo quantità di legumi vari, dai ceci alle lenticchie, addirittura alle fave. Una serie di fattori ce li aveva fatti dimenticare: l’immigrazione ce li ha fatti riscoprire. La cisrà è solo uno di questi tanti esempi». Come dolce un originale gelato ai fagioli borlotti, a sottolineare la versatilità, in tavola, di questo legume.